lunedì 25 novembre 2013

Olio d'oliva: ma lo conosciamo?


Come spesso accade quando ci si imbatte negli scaffali dei supermercati alla ricerca di un determinato prodotto, ci troviamo di fronte ad una moltitudine di formati, etichette e prezzi che spesso generano confusione nella mente di noi consumatori.
Questo accade anche nel caso dell’olio d'oliva. Molte volte infatti, all’atto dell’acquisto, abbiamo a che fare con oli a partire dai 2 euro al litro circa, fino ad arrivare anche ai 10 euro ed oltre.
Ma allora cosa acquistare? Che differenze ci sono tra i vari oli?






Facciamo un po’ di chiarezza partendo dalle definizioni: l’unione europea ha chiarito e aggiornato in diversi step l’uso delle varie denominazioni per l’olio.

A partire dagli anni sessanta con la direttiva 136/66/CEE e fino al regolamento CE 1989/03 la comunità europea ha definito le denominazioni dei vari oli d’oliva principalmente in base a 2 parametri:

-1° parametro: il  metodo di ottenimento
-2° parametro: il contenuto di acido oleico

Più in particolare il metodo di ottenimento dell’olio può essere di tipo meccanico (sfruttando la pressione), o tramite l’utilizzo di sostanze chimiche.

Il metodo meccanico è il classico metodo che noi tutti conosciamo, dove si utilizzano le molazze e le presse a fiscoli, o i più recenti impianti a ciclo continuo. Con il metodo meccanico si ottengono gli oli vergini (sia vergini che extravergini), ma anche gli oli d’oliva lampanti.


Il metodo chimico invece (come nel caso degli oli d’oliva di sansa) prevede l’estrazione di olio tramite l’utilizzo di solventi chimici, e viene utilizzato principalmente per estrarre olio dalle sanse. Le sanse non sono altro che il residuo della spremitura e della torchiatura delle olive composto dalle buccette, dai residui della polpa e dai frammenti di nocciolino in cui è contenuto ancora dal 3% al 6% di olio che non è più possibile estrarre con il classico metodo meccanico. Da questo processo si ottiene l’olio di sansa di olive, normalmente considerato un sottoprodotto dell’olio.


Il secondo parametro invece, che l’unione europea prende in considerazione per classificare gli oli, è un parametro di tipo qualitativo che distingue gli oli in base al loro contenuto di acido oleico: inferiore allo 0.8% nel caso dell’olio extravergine d’oliva, inferiore al 2% nel caso dell’olio vergine d’oliva, maggiore del 2% nel caso dell’olio d'oliva lampante. In sostanza un basso contenuto di acido oleico è indice di ottima qualità dell’olio, un alto contenuto di acido oleico è indice di bassa qualità e di sapore sgradevole.

Ecco una tabella riassuntiva delle varie denominazioni:

Denominazione
Acidità (%)
Note
Olio extravergine di oliva
≤ 0,8
È ottenuto tramite estrazione con soli metodi meccanici.
Olio di oliva vergine
≤ 2,0
È ottenuto tramite estrazione con soli metodi meccanici.
Olio di oliva lampante
> 2,0
È ottenuto tramite estrazione con soli metodi meccanici, ma non è utilizzabile per il consumo alimentare.
Olio di oliva raffinato
≤ 0,3
È ottenuto tramite rettificazione di oli vergini lampanti con metodi fisici e chimici e successiva raffinazione.
Olio di oliva composto di oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini
≤ 1,0

Olio di sansa di oliva greggio
-
È ottenuto per estrazione con solvente dalle sanse. Presenta una concentrazione di cere > 350 mg/kg.
Olio di sansa di oliva raffinato
≤ 0,3
È ottenuto tramite raffinazione.
Olio di sansa di oliva
≤ 1,0


Per ora lasciamo stare le righe evidenziate in giallo.
Dimentichiamo per un attimo il 2° parametro (contenuto di acido oleico) e prendiamo in considerazione solo il 1° parametro (il metodo di ottenimento), ricapitolando per noi poveri consumatori, possiamo ottenere gli oli d’oliva in 2 diversi modi:

-Tramite premitura meccanica e senza l’utilizzo di sostanze chimiche (righe in verde)
-Tramite l’utilizzo di sostanze chimiche per l’estrazione (righe in rosso)

Tra questi due metodi di ottenimento dell’olio però, non figura il semplice “Olio d’oliva”.
Ma allora quando compriamo un olio che ha la denominazione “Olio d’oliva” cosa stiamo acquistando realmente?
Soffermiamoci sulla prima categoria: gli oli ottenuti tramite processo meccanico (righe evidenziate in verde).
Come ci mostra la tabella abbiamo tre tipi di oli:

-Olio extra vergine di oliva (acidità ≤ 0,8)
-Olio di oliva vergine (acidità ≤ 2,0)
-Olio di oliva lampante (acidità > 2,0)




I primi due sono i cosiddetti oli vergini, tra cui troviamo l’olio extravergine d’oliva e l’olio vergine di oliva che generalmente viene ottenuto da olive di qualità inferiori rispetto alle prime. Infine fanno parte di questa categoria anche gli oli di oliva lampanti.

L’olio extravergine d’oliva è per eccellenza l’olio di qualità migliore, ottenuto dalle migliori olive molite dopo poche ore dalla raccolta per non innescare pericolosi processi di decomposizione e fermentazione che possono pregiudicare le caratteristiche organolettiche dell'olio stesso. Senza dubbio questo è il miglior olio in commercio.

L’olio vergine d’oliva generalmente viene ottenuto da olive di qualità inferiori rispetto alle prime ma con caratteristiche di qualità di tutto rispetto, ed è senza dubbio l’alternativa migliore all’olio extra vergine d’oliva.

L’olio d'oliva lampante, invece, non è destinato al consumo alimentare perché ottenuto da olive di pessima qualità o in cattivo stato di conservazione o addirittura dalla premitura a caldo di quel che resta dello scarto dei primi 2 oli.

Entriamo nel dettaglio di quest’ultimo.
L’olio lampante è un olio che puzza in maniera terribile, ha un sapore disgustoso, un colore orribile, un’acidità tale da non poter essere destinato al consumo umano perché potenzialmente dannoso. In fin dei conti è quello che ci si aspetta da un olio che come dice la parola stessa dovrebbe essere destinato solo alle vecchie lampade ad olio, ma in realtà vedremo che non è proprio così.


Come si fa per rendere commestibile un olio che di commestibile non ha nulla?

Molto semplicemente utilizzando dei procedimenti chimici per riportare il valore di acidità a livelli accettabili e annullare odori, colori e sapori sgradevoli presenti in origine:

- 1° passo: la deacidificazione.
Con l’utilizzo di soda caustica e lavaggi a caldo il livello di acido oleico viene riportato addirittura sotto lo 0,3%
- 2° passo: la decolorazione.
Si intrappola l’olio in filtri di terra. Successivamente si tratta questa terra con l’esano (il solvente principale della benzina che le dona il classico odore) per recuperare l’olio presente nella terra.
- 3° passo: la deodorazione.
A questo punto l’olio, se si può chiamare ancora così, ha un odore a metà strada tra il petrolio e l'olio bruciato, percui necessita di una distillazione a ben 220° per eliminare ogni traccia.
- 4° passo: la demargarinizzazione.
Tramite centrifugazione ad una temperatura sotto lo zero, viene separata la parte solida (che diventerà margarina) dalla parte liquida.

Abbiamo così ottenuto l’”olio d’oliva raffinato” (prima riga gialla della tabella).
Quest’olio mescolato con una minima quantità di olio vergine diventa udite udite: sua maestà l’“Olio d’oliva” (seconda riga gialla della tabella).


Dico minima quantità di olio vergine perché la legge non prescrive dosi minime di miscelazione, l’importante è che il valore dell’acido oleico sia inferiore all’1%. Quindi, anche se sembra assurdo, in teoria si potrebbe aggiungere anche una sola goccia di olio vergine per ogni tonnellata di quest’olio così raffinato, per ottenere la dicitura “Olio d’oliva” e finire così sulle nostre tavole.
Si, avete capito bene: sulle nostre tavole, perché l’olio d’oliva, oltre che negli scaffali dei supermercati è presente anche nelle scatolette di tonno e nella maggior parte dei prodotti sott’olio o che contengono olio.
In pratica è come rendere potabile l’acqua di fogna utilizzando candeggina e benzina, mescolarla poi con una goccia d'acqua minerale e servirla a tavola.
Penso che sia un paragone abbastanza appropriato.
Ma allora sono preferibili altri oli come quello di girasoli, di colza etc…?


Assolutamente no, sono tutti raffinati con metodi analoghi a quello appena visto per l’olio lampante.
La parola olio d’oliva evoca in tutti noi la bontà di un prodotto strettamente legato alla natura e alla genuinità del territorio mediterraneo.
Ma allora è giusto chiamare questa meraviglia della chimica “olio d’oliva”?
Questa dicitura non trae in inganno i consumatori nascondendo tutti i processi che ci sono dietro questo prodotto?
Ad onor del vero va detto che questi olio deve riportare la dicitura "Composto da oli d'oliva raffinati e da oli d'oliva vergini" ma quasi sempre quest'ultima e riportata sotto la dicitura "Olio d'oliva" con caratteri molto, ma molto più piccoli, tali da non attirare l'attenzione dei consumatori.

Ecco una piccola tabella riassuntiva:


Vi lascio con delle domande sulle quali riflettere:

Cosa mangiamo? 
E ancor prima cosa acquistiamo?



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